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L'aria serena non è quella dell'Est: non a caso il film del ticinese / milanese Silvio Soldini (scandalosamente privato di un Pardo all'ultimo concorso di Locarno; ma in seguito doverosamente ripagato con il Gran Premio di Annecy, la Grolla d'Oro alla sceneggiatura, nonchè svariati riconoscimenti all'interpretazione della bravissima Patrizia Piccinini) inizia con le immagini della piazza di Tien An Men nell'89, e si chiude con quelle della caduta del Muro di Berlino. Ma è poi quella dell'Ovest?

C'è da dubitarne: non solo poiché si tratta di quella emblematicamente inquinata di Milano. Ma perché la serenità in questione è costantemente rimessa in questione da quel male sottile, fatto di piccoli e meno piccoli disagi esistenziali e psicologici, di solitudini, di nevrosi e d'incerti espedienti per rimediare ai guasti; che accompagnano da tempo la società alla rincorsa del benessere.

Delle date, degli spazi. Uno dei pregi di Soldini è quella di sapere circoscrivere i suoi personaggi eventualmente piccoli, le sue storie sicuramente quotidiane in una cornice ben precisa. Forse gli viene dalla sua pratica con il documentario: ma, inserite come sono in un mondo d'immagini e di suoni cosi vero, le sue storie si alimentano e rinnovano. Quasi mai Milano, la più bella dai tempi di Ermanno Olmi, che noi tutti conosciamo da vicino ci è stata resa in modo altrettanto fedele, eppure privo di pedanteria: metropoli e paese, dai primi tram che sferragliano all'alba sopra al risveglio degli amanti, al declinare delle luci su quel languore tutto latino che viene a spegnere l'animazione più febbrile. Non tanto alla maniera impeccabile di una ronda alla Rohmer: chè la scadenza della struttura, ricercata, specie sul finale, con un certo affanno, quasi una forzatura degli avvenimenti per piegarli ai propri desideri, costituisce uno dei limiti del film. Ma con un distacco scanzonato, tutto lombardo (o, se preferite, ticinese...): con un malinconico sarcasmo, che si carica però di un'affettuosa vicinanza ai propri personaggi.

Cosi, come sempre capita quando è inserita in un quadro vero, con il pretesto di un'agendina perduta e ritrovata, attorno alla figura che finisce per imporsi (la ragazza interpretata dalla Piccinini, che di giorno fa l'infermiera e di notte si fa i ragazzi in discoteca, per lenire antiche smanie) cresce, e si significa la ricorrenza dei personaggi. In un corale avvenimento, che da umile si fa quello di noi tutti.

L'aria del film di Soldini - se non fosse più milanese che ticinese - è di certo quanto di meglio ha soffiato di recente sul cinema nuovo di casa nostra: proprio perché non esattamente confinato, (anche se un paio di sequenze furono girate a Lugano) non mancatelo ad ogni costo

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The serene air is not that of the East: it is no coincidence that the film by the Ticinese/Milanese director Silvio Soldini (scandalously deprived of a Leopard at the last Locarno competition, but then duly rewarded with the Grand Prix of Annecy, the Grolla d'Oro for the screenplay, as well as various awards for the performance of the excellent Patrizia Piccinini) begins with images of the square in Tien An Men in 1989, and closes with those of the fall of the Berlin Wall. But is it then that of the West?

It is doubtful, not only because it is the emblematically polluted Milan. But because the serenity in question is constantly called into question by that subtle evil, made up of small and less small existential and psychological discomforts, of loneliness, of neurosis and of uncertain expedients to remedy the faults that have long accompanied society in its pursuit of well-being.

Of dates and spaces. One of Soldini's merits is that he knows how to circumscribe his possibly small characters, his undoubtedly everyday stories in a very precise framework. Perhaps this comes from his practice with documentaries: but, inserted as they are into such a real world of images and sounds, his stories are nourished and renewed. Hardly ever has Milan, the most beautiful since Ermanno Olmi's time, which we all know so well, been rendered as faithfully, yet without pedantry: metropolis and village, from the first trams clanking at dawn over the awakening of lovers, to the declining lights on that all-Latin languor that comes to extinguish the most feverish animation. Not so much in the impeccable manner of a Rohmer-style patrol: because the expiry of the structure, sought after, especially at the end, with a certain weariness, almost a forcing of events to bend them to one's own desires, constitutes one of the film's limits. But with a light-hearted detachment, all Lombardy (or, if you prefer, Ticino...): with a melancholic sarcasm, which is however charged with an affectionate closeness to its characters.

So, as always happens when it is inserted into a real picture, with the pretext of a lost and found diary, around the figure that ends up imposing itself (the girl played by Piccinini, who by day is a nurse and at night does the boys in the disco, to soothe old cravings) grows, and the recurrence of the characters is signified. In a choral event, which from humble becomes that of us all.

The air of Soldini's film - if it were not more Milanese than Ticinese - is certainly the best that has recently blown over the new cinema of our house: precisely because it is not exactly confined, (even if a couple of sequences were shot in Lugano) do not miss it at any cost.

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